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Il Bucintoro è una nave veneziana da parata per cerimonie solenni. La più famosa di esse è quella progettata da Antonio Corradini per i Dogi di Venezia, varata nel 1729 e immortalata nei dipinti del Canaletto. Imbarcazione fastosa, spettacolare e teatrale, veniva usata dal Doge ogni anno in occasione della festa dell’Ascensione.
Tuttavia, il Bucintoro originale veneziano è distrutto nel 1797 dalle truppe di Napoleone dopo la conquista di Venezia sia per cancellare uno dei simboli dell’antico regime, ma anche per recuperare le notevoli quantità d’oro usate per le decorazioni della nave.
Pertanto, l’unica imbarcazione ancora esistente è quella dei Savoia e si può ammirare questo splendore presso la Reggia di Venaria.
La storia
Nel ‘700, l’Arsenale veneziano era riservato alle commissioni statali. Pertanto, chi voleva un’imbarcazione costruita dai maestri veneziani si doveva rivolgere a cantieri privati, detti squeri. Vi era però anche il vincolo che il committente doveva avere cittadinanza veneta. Tale vincolo era stato istituito per limitarne gli esemplari, proteggere e conservare le abilità dei maestri costruttori e rendere le imbarcazioni un simbolo di prestigio che portava lustro a tutto lo Stato veneto. Molti regnanti dell’epoca aggiravano il vincolo tramite l’utilizzo di un prestanome di origini venete.

Canaletto, 1730
I Savoia però si trovavano in forte difficoltà a procedere in questo modo. Innanzi tutto, i rapporti tra i due Stati erano pessimi. Sin dal 1670 quando le relazioni diplomatiche si erano quasi completamente interrotte a causa dell’assunzione del titolo di Re di Cipro e Gerusalemme da parte di Vittorio Amedeo I. Titolo Regio non del tutto riconosciuto a livello internazionale, sicuramente non da Venezia che su quei territori vantava un’influenza storica.
Inoltre, con l’elevazione del ducato a Regno di Sardegna (scambiata con la Sicilia), i Savoia accampavano diritti commerciali nel Mediterraneo, diventando una possibile minaccia per l’egemonia veneziana. In queste condizioni il Senato veneziano non avrebbe mai dato il consenso alla costruzione di un Bucintoro con l’emblema Savoia.
Padre Cristoforo
Tuttavia, al pari di altri reali dell’epoca, Vittorio Amedeo II desiderava ardentemente possedere una sontuosa imbarcazione da parata per la navigazione fluviale, ed era ben conscio che gli unici in grado di farlo fossero i veneziani. Per superare le difficoltà ed i veti veneziani, il sovrano piemontese si appoggiò ai servigi del padre agostiniano Cristoforo Maria Ceccati.

Egli aveva guadagnato la fiducia Savoia per aver rivelato le tecniche segrete in uso nel veneto per la coltivazione e lavorazione del tabacco. Padre Cristoforo aveva poi giustificato le somme ricevute dal sovrano con il commercio di tessuti pregiati che esercitava per procura di suo fratello.
Per i motivi espressi, l’operazione doveva però rimanere segreta il più possibile. Si decise quindi che l’ingente costo della costruzione, sarebbe stato pagato tramite la Gabella del Tabacco. Fu una dissimulazione talmente bel riuscita che il vero costo della costruzione si è scoperto solamente negli anni 2000: 34.000 lire piemontesi (circa 5 milioni di euro). Fino allora, basandosi su un documento redatto a consegna avvenuta da Filippo Juvarra, si credeva che la spesa si aggirasse intorno alle 21.500 lire piemontesi.
Per la sua intercessione padre Ceccati avrebbe dovuto ricevere 15.000 lire piemontesi quando il bucintoro avesse raggiunto Torino. Tuttavia, il saldo non venne mai pagato poiché egli morì mentre la nave Savoia era in viaggio verso il Piemonte.
Padre Cristoforo non fu solamente un prestanome, ma fu colui che assieme a Filippo Juvarra, il vero ideatore e progettista dell’opera, seguì la commessa e si occupò di ogni aspetto della realizzazione.
La costruzione del Bucintoro
La costruzione avvenne presso lo squero di Zuanne, in via dei mendicanti. Il progetto è affidato a Mastro Antonio di Burano. Egli sulla base di una peota (imbarcazione usata principalmente per la pesca) costruì una nave di 16 metri di lunghezza per un massimo di 2.70 metri di larghezza e 12 metri di altezza al vertice dell’albero.

L’allestimento prevedeva anche una cabina di 5.20 metri, con dieci piccole finestre, per gli ospiti regali. La commessa di questa cabina si deve a Carlo Emanuele III, successore di Amedeo II e re di Sardegna dal 1730. La cabina, chiamata Tiemo, è realizzata dallo scultore Matteo Calderoni.
A prua vi è la scultura di un Narciso che si specchia nelle acque del fiume, affiancato da due vegliardi che versano acqua da due otri, che rappresentano i più importanti fiume del Piemonte e del Veneto: il Po e l’Adige.
La poppa si presenta con cavalli marini e la barra del timone (in veneto chiamata ribolla) scolpita a forma di drago.
La risalita del Po
Il 2 agosto 1731 inizia il viaggio di risalita del Po. Il convoglio è composto da 3 imbarcazioni: il Bucintoro, una barca aggiuntiva che contiene tutti gli elementi smontabili del Bucintoro stesso, ed una gondola usata per il traino. Il viaggio è affidato al veneziano Antonio Corrin, supportato dal frate agostiniano Antonio Brunello incaricato delle spese del viaggio e che terrà un dettagliato diario sulla spedizione. Completano l’equipaggio un carpentiere e quattro barcaioli.
Gli ordini sono di viaggiare solamente durante il giorno, fermandosi durante la notte, ma dormendo sopra le navi.

Il primo tratto è una navigazione a vela in laguna, quindi risalgono i canali trainati da cavalli per raggiungere Pontelagoscuro, il porto di Ferrara. Da qui risalgono il Po arrivando a Cremona il 13 agosto e il giorno successivo a Piacenza. Il viaggio prosegue grazie ai permessi di transito ottenuti dai Savoia e, quando necessario, al pagamento dei dazi. Il 15 agosto raggiungono Pavia. Una decina di giorni dopo arrivano al porto fluviale di Casale, in territorio sabaudo.
L’ultimo tratto tra Casale e Torino è il più difficile per la presenza di rocce in alveo, gli impianti dei traghetti e dei mulini natanti allora molto frequenti.
Il 2 settembre 1731, l’imbarcazione arriva finalmente a Torino raggiungendo una darsena appositamente allestita per il Bucintoro nei pressi del Castello del Valentino. Qui Filippo Juvarra, primo architetto di corte, giudica congrua la richiesta di 19.597 lire piemontesi, trasporto incluso, riportata nella fattura dei costruttori veneti.
Oggi sappiamo che il costo fu in realtà molto più alto (34.000 lire piemontesi), ma questo è stato abilmente camuffato grazie agli intrighi di padre Cristoforo ed ai commerci del tabacco.
Le apparizioni del Bucintoro
Negli anni seguenti il Bucintoro è utilizzato dai Savoia per viaggi sul fiume, feste, matrimoni e visite di Stato. La prima apparizione pubblica avvenne nel 1734 con Re Carlo Emanuele III. Viene poi utilizzata durante le nozze di Carlo Emanuele IV e Maria Clotilde di Borbone nel 1775.

Poi ancora durante il matrimonio di Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide nel 1842. L’ultima apparizione pubblica dovrebbe risalire al 1867 per l’unione tra Amedeo d’Aosta e Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna,
Trasferita la monarchia a Roma, Vittorio Emanuele II dona nel 1869 l’imbarcazione alla città di Torino, che a partire dal 1873 la destina al Museo Civico.
Qui rimase, quasi dimenticata, fino ai primi anni 2000, quando un’opera di restauro costata oltre 250.000 euro la riporta al suo antico splendore. Oggi la possiamo ammirare presso la Scuderia Juvarriana della Reggia di Venaria.