
Sito: http://www.palazzosaluzzopaesana.it
Palazzo Paesana si affaccia su Piazza Savoia copre un intero isolato tra via della Consolata e via del Carmine.
Esso fu fatto costruire dal facoltoso ed influente Conte Baldassarre Saluzzo di Paesana a partire dal 1715, a seguito dell’espansione della città da Vittorio Amedeo II.

Il progetto venne affidato a Giovanni Giacomo Plantery che nel giro di sette anni realizza una vera e propria reggia.
Il Palazzo era in grado di ospitare attività commerciali al piano terra mentre al primo piano disponeva di appartamenti padronali. Al secondo e terzo piano erano previsti appartamenti da affittare alla borghesia. Per finire, locali per il popolo nelle soffitte, scuderie sul fondo del cortile. Insomma, il complesso e i suoi abitanti erano quindi uno specchio della società pimontese dell’epoche che includeva ogni classe sociale.

Purtroppo, con il passare egli anni si è perso molto dello sfarzo iniziale del Palazzo. Arredi e affreschi sono scomparsi, rimane parte dell’allestimento originale solamente l’appartamento padronale dei Saluzzo.
Attualmente l’appartamento è proprietà di privati che lo mettono a disposizione per eventi aziendali e culturali.
Il Mostro di Palazzo Paesana
Palazzo Paesana è tristemente noto anche per i fatti di cronaca nera che si svolsero a inizio ‘900.
A quel tempo, in Piazza Paesana (oggi Piazza Savoia) vi era il “Caffè Savoia”, gestito dalla famiglia Zucca. La figlia Veronica Zucca era abituata a giocare davanti al locale in modo che i genitori potessero vederla dall’interno durante il lavoro. Il 12 gennaio 1902, la madre di Veronica esce dal locale per controllare la figlia ma non la vede. Dopo una prima ricerca senza successo gli Zucca chiamano la polizia per denunciarene la scomparsa.
Parte prima
Immediatamente le indagini conducono ad Alfredo Conti. Un ragazzo di sedici anni che era stato licenziato dagli Zucca perché’ considerato scansafatiche.
Successivamente venne appurato che Conti quella mattinata parlo’ con la bambina solamente per chiederle di chiamare un suo amico che era all’interno del locale, perché’ visto i precedenti lui preferiva non entrare. In questo modo Alfredo Conti riuscì a dimostrare che, a parte quel colloquio, non aveva nulla a che fare con la scomparsa di Veronica.
Non ci furono piu’ ulteriori sviluppi fino all’aprile del 1902. Durante alcuni lavori di restauro di Palazzo Paesana, il falegname Angelo Damiano ha il compito di liberare le cantine da quanto accumulato durante gli anni. Egli si accorge di uno sgradevolissimo odore proveniente da una delle cantine. Avvicinatosi trova una grande cassa di legno nella quale sarà rinvenuto il corpo di Veronica. L’autopsia dimostrerà che la bambina fu uccisa con sedici coltellate.

Ovviamente le indagini riprendo e questa volta di concebtrano su Carlo Tosetti. Egli e’ il cocchiere di fiducia del Marchese di Paesana, con libero accesso alle cantine del Palazzo.
Carlo Tosetti fu arrestato e accusato dai giornalisti, ma gli inquirenti non trovano nulla a suo carico. Dopo due mesi, verrà rilasciato. L’esperienza passata e i commenti dell’opinione pubblica gli rovineranno la vita per sempre. Muore infatti in solitudine, povertà, e dimaneticato da tutti.
Parte seconda
Nell’estate del 1903, Teresina Demarca di cinque anni, residente al quarto piano del Palazzo, scompare anche lei misteriosamente. Alla gente e ai giornali torna in mente la morte di Veronica e si inizia a parlare del Mostro di via della Consolata. Considerando i precedenti, questa volta le ricerche partono immediatamente dalle cantine del palazzo.
Teresina viene ritrovata, ferita da tre coltellate, ma viva e non in pericolo. Durante le investigazioni, il portiere del palazzo ricorda che il giorno della scomparsa della bambina, un addetto alla raccolta della spazzatura gli chiese le chiavi delle cantine. La richiesta non destò particolare sospetto nel portiere, infatti non era insolito che qualcuno fosse chiamato per la pulizia dei sotterranei. Il sospetto venne identificato in Giovanni Gioli, un ragazzo di 23 anni malato di mente. Egli confessa l’omicidio di Veronica e l’aggressione a Teresina. Ammette che “Il coltello non tagliava, serviva solo a bucare. Allora l’ho messa nella cassa che era ancora viva”.
Il processo ebbe inizio a febbraio 1904. Nonostante l’infermità mentale Giovanni Gioli fu condannato a 25 anni e 2 mesi. Morirà in carcere dopo otto anni.